[Di Sofia Paganelli – Foto Web]
Dice che mi ama e io gli credo. Nel frattempo mi accarezza il viso, il corpo è scosso da un lieve tremore.
Mi dice che per lui sono tutto, che senza di me è perso. E io gli credo. La mano dalla guancia è scesa sul collo. Il petto si alza e si abbassa, la sua presa su di me si fa più stretta. Indietreggio. Mi fido di lui, ma non mi sento a mio agio.
È molto geloso, teme che qualcun altro possa prendere il suo posto. Impazzisce alla sola idea che qualcun altro possa toccarmi come fa lui, sfiorarmi le labbra e intrecciare le dita tra i miei capelli, sentire il mio odore. Me lo ricorda ogni singolo giorno. “È amore questo?” mi chiedo.
Io mi fido di lui, ma ogni tanto mi fa paura.
È da qualche mese che ormai le cose non vanno più bene tra me e lui, non sono più felice come all’inizio. Gliene parlo. A parer suo non è cambiato nulla. Dice che mi ama come prima e io gli credo. Evidentemente è un problema che riguarda solo me. Decido di chiudere. “in una relazione devono stare entrambi bene Pippo, se una delle due parti non sta bene non è sano e non arricchisce nessuno” gli spiego. La notizia lo scuote più di quanto avessi potuto immaginare. Inizia a piangere, urla. Grida che sono egoista. Anche io piango, mi sento in colpa, ma non cambio idea. “ti voglio bene Pippo e se avrai bisogno ci sarò. Ora però sento di dover pensare un po’ a me” cerco di dirgli mentre lui continua a implorarmi di non lasciarlo solo.
Torno a casa con il cuore pesante nonostante una parte di me sia stranamente più leggera.
Mi concentro sui miei studi, tra poco diventerò dottoressa di ingegneria biomedica. Sorrido all’idea di sentirmi chiamare così. È il risultato di tanti sacrifici e fatiche in questi ultimi anni. Posso ritenermi orgogliosa per una volta. “Giulia, sei stata proprio brava!” mi dico mentre immagino il giorno in cui discuterò la tesi e una corona d’alloro cingerà il mio capo mentre amici e parente festeggeranno questo traguardo importante. Smetto di fantasticare quando mi suona il telefono per l’arrivo di una notifica. Guardo lo schermo. È Filippo. Dice che non possiamo non laurearci insieme. Insiste. Non è la prima volta che leggo queste parole. Da quando ci siamo lasciati ho cercato di evitarlo nonostante lui abbia continuato a cercarmi. Mi dice che se non cambio idea sulla nostra relazione si toglie la vita e io gli credo. Per questo ho paura, perché so che sarebbe capace di arrivare a compiere un gesto così estremo. Mi sento responsabile nei suoi confronti, sono stata io a lasciarlo.
La mia testa è invasa da infiniti pensieri contrastanti tra loro.
Un pomeriggio cedo e accetto di vederlo. Per cena andiamo al MC, come al solito pago io. Dice che mi ama e che non ha intenzione di perdermi. Io gli credo. La sua mano si è istintivamente posata sul mio viso. Il prossimo tocco sarà sul collo. Come sempre. Stavolta la sua presa si fa più stretta. Faccio fatica a respirare. “così mi fai male” replico cercando di divincolarmi. Mi sento invasa dalla rabbia. “è questo il punto, non è sano per nessuno dei due”. Iniziamo a litigare, la gente per strada ci squadra in silenzio mentre ci passa accanto. Provo a chiedere aiuto, ma nessuno interviene. Un calcio mi sbatte a terra e mi toglie il respiro. Cerco di difendermi. Ma lui è irriconoscibile, sembra una bestia fuori controllo.
A un certo punto mi prende per un braccio e mi trascina in macchina.
Sento un forte colpo in testa e da lì è buio.
Ogni tanto degli scossoni mi fanno sbattere contro una superficie dura. Ho il corpo indolenzito. Dove mi trovo? Cosa è successo?
Qualcuno mi strattona. Lentamente apro gli occhi.
È Filippo.
Non lo riconosco. Ha lo sguardo da folle, da maniaco.
Mi urla addosso ma il battito del mio cuore sovrasta le sue grida.
Sono terrorizzata, non riesco a muovermi. Il mio corpo è diventato di pietra.
Lo sguardo mi cade sull’oggetto che stringe tra le mani. È un coltello.
Capisco. So che non ho vie di scampo. Siamo solo io e lui.
Lotto per questi miei ultimi istanti di vita.
Lui è fuori controllo.
Dice che mi ama.
Io però non gli credo più.
Come può l’amore uccidere?
Mentre continua a urlare che sarò per sempre sua, una prima coltellata mi ferisce più nell’anima che nel corpo. E poi altre una dietro l’altra. Sento il mio corpo cedere sotto il suo stesso peso.
Le conto.
Dopo ventisei coltellate io non ci sono più. Rimango abbandonata tra le sue braccia.
Nessun altro potrà toccarmi come fa lui, sfiorarmi le labbra e intrecciare le dita tra i miei capelli, sentire il mio odore.
Nasconde ciò che resta di me in un sacco della spazzatura e mi abbandona vicino a un burrone.
Poi se ne va. In silenzio.
E quindi eccomi: sono Giulia Cecchettin. L’ultima donna della lista. Quella che è stata aggiunta più di recente fra le decine di nomi che restano sospesi nell’aria pesanti come macigni quando si tenta di pronunciarli con un filo di voce.
Di me non restano altro che un corpo massacrato e ricordi che si sbiadiranno nel tempo.
Nessuno vedrà più quel sorriso che a mamma piaceva tanto.
Non ci sarà nessuna festa il giorno della mia laurea. Perché io alla laurea non ci sono arrivata.
Non andrò al matrimonio di mia sorella, non sarò la sua testimone come ci eravamo promesse.
Non realizzerò i miei sogni e non vedrò crescere i miei figli, perché non ce ne saranno.
Filippo Turetta mi ha strappata alla vita prima che potessi anche solo goderne pienamente un respiro.
Una cosa però la voglio dire lo stesso:
io sono Giulia Cecchettin e devo essere l’ultima donna di quella lista.