[di Emanuela Macrì] Due sci incrociati fra loro e contro un cielo azzurrissimo. Un film dal titolo Descendance. Imprese e spettacolo sulla neve a cui ha sempre ceduto la parola, fatto parlare al posto suo. Ma questa volta è la sua volta. Questa volta D Ran, freeride tra i più noti al mondo, mette davanti alla macchina da presa Dennis Ranalter, sé stesso. Un ragazzo nato nella Stubaital, Austria, con lo sci nel sangue. Un sangue, però, misto: 50% austriaco e 50% ghanese.
Una composizione che regala alla sua pelle un colore che secondo alcuni mal si concilia con lo sport, la professione scelta. Perché si, c’è chi si sorprende (no, peggio, si permette commenti sgradevoli) nel vederlo in seggiovia. E chi, ancora di più, a prendere parte alle competizioni del circo bianco. Nel 2024? Sì, nel 2024.
D Ran, dunque, toglie maschera e sci e affronta quello che, da un giorno all’altro, è diventato un problema: trovare la propria identità, il proprio posto nel mondo. Perché alla domanda “chi sono io?” non riesce a dare una risposta. Sente solo un dolore a volte acuto, lì in fondo allo stomaco E se per lungo tempo ha cercato di non dargli spazio beh, ora è arrivato il tempo di rimuoverlo.
Con un viaggio nel cuore dell’Africa, ad Accra, nel Ghana più profondo: quello delle radici, sue e del razzismo. Nel luogo dove il padre ha deciso di tornare dopo aver abbandonato la famiglia che poi è lo stesso che è stato il centro della tratta degli esseri umani che qui prendevano, forzatamente, la via del mare, destinazione schiavitù. La visita al Castello degli Schiavi che nulla di fiabesco ricorda, sembra segnare un solco, marcare la distanza inconciliabile dello stesso con quei castelli austriaci di fiabesca concezione.
Un’andata e ritorno, quella di Dennis, nei luoghi del cuore ma anche comuni, tra razzismi, dolori e rinascite. Come la sua. Come in questo film presentato al 72mo Trento Film Festival per la regia di Michael Haunschmidt, con le inquadrature immerse nel bianco e rotte solo da linee disegnate sullo schermo e una narrazione che gioca tanto con i formati, si passa dal 4:3 al panoramico, quanto con il punto di vista, alternando riprese in soggettiva a quelle oggettive.
Una diversità grammaticale, cinematograficamente parlando, e una colonna sonora che da sola vale il prezzo del biglietto, per trattare di diversità. Di difficoltà di convivenza con la diversità che, invece, come imparerà Dennis “è da celebrare perché DIVERSO è fantastico.” Ne volete una prova? Eccola QUI