[di Emanuela Macrì – foto fonte web] Di Rupert Murdoch, dei suoi figli e di quel che succederà. O di chi gli succederà. È di questi giorni, infatti, la notizia che il magnate televisivo – tutto suo nella News Corporation e in Fox, almeno fino al 2023 quando l’allora 92enne ha deciso l’autopensionamento – discuterà, ma in un tribunale testamentario del Nevada, del futuro di quanto creato. E come non pensare, con gran poca originalità per dirla tutta visto che parallelo ha fatto la sua comparsa dacché è uscita la news, al suo alter ego Logan Roy, serie tv che in 4 stagioni ha mantenuto saldo il timone sul tema della successione. Succession, di fatto, è il titolo che più azzeccato non poteva certo essere. Se l’avete vista sapete di cosa si tratta. Se non l’avete vista, fatelo.
E non per Murdoch e famiglia, no. Ma perché non potrete non chiedervi cosa vi abbia tenuti inchiodati allo schermo per 39 puntate. Per 4 stagioni di – no, qui è zona no spoiler zone, staremo sul vago – cessioni (ma poi no), cambi al vertice (o forse), ripensamenti (tanti), carognate (ancor di più), reati (non si contano) e assoluzioni (spesso auto) in una storia che apre con lui, Logan il Grande, apparentemente con un piede nella fossa. Apparentemente.
Perché il capo, che di cognome fa Roy e non a caso, è un padre padrone che tiene botta e testa ai suoi figli. Quelli che potrebbero, dovrebbero, vorrebbero raccogliere l’eredità di un padre ancora in vita e fin troppo vitale. Quelli che sembrano sempre a un passo da e invece si ritrovano sempre sotto un palco irraggiungibile.
E a guardarli bene, si capisce anche perché il ferreo e feroce padre non riesca a scegliere il successore tra Connor, il figlio maggiore (del primo triste matrimonio conclusosi con l’internamente della moglie, ad opera del marito… ma va?!?) che non brilla in perspicacia e dalla fattoria in cui è stato sistemato sogna la Casa Bianca, passando per Kendall, l’uomo giusto per superbia, non fosse per quella decisa inclinazione all’autodistruzione. E poi c’è Roman (vogliamo parlare dell’interpretazione di Kieran Culkin? Limitiamoci a un magistrale) che combatte con le sue perversioni ma è un perfetto business man in fieri. E infine c’è Shiv. Unica figlia femmina, che paga lo scotto del genere – il padre per rabbonirla spesso la chiama Pinky per poi ingannarla appena volta lo sguardo.
Una famiglia patinata, elegante e pettinata. Peccato che nella quarta di copertina si presenti come la tana di intrighi e sgambetti. Un po’ come i Murdoch, a quanto pare. Che un successore designato, il terzogenito Lachlan, ce l’hanno, insieme a tutte le grane per evitare di farsi escludere dal trust familiare. Di finire esclusi e scontenti, ma non di certo squattrinati. Finirà come in Succession? Al tribunale testamentario di Reno, Nevada, l’ardua sentenza.