[di Emanuela Macrì – foto: www.simonecristicchi.it] Si parla di Storia (con la maiuscola, volutamente) e, immancabilmente, frasi e mantra si sprecano. Sulla effettiva veridicità degli stessi, peraltro, non vi è quasi mai alcuna certezza. I replicatori seriali, infatti, spesso non hanno idea del contenuto del messaggio. Ma l’han sentito ripetere spesso e allora via, non si sottraggono alla moltiplicazione di quelle che diventano verità (forse) storiche pret a porter.
Tra le pieghe di queste, però, dorme però una assoluta verità: quella delle storie dimenticate, spesso taciute perché volutamente nascoste. Quelle che è meglio nascondere, per comodo o vergogna che sia. Ci pensa poi l’ingiuria del tempo a togliere loro peso e dignità.
Tra queste c’è una storia tutta italiana, ma tutta davvero. Quella che per anni è rimasta nascosta, intrappolata dalla polvere di quel Magazzino 18 che solo da pochi anni la curiosità di un artista, ha pensato di riaprire. Insieme alle critiche che gli pioveranno sulla testa quando da quel magazzino usciranno delle storie e prenderanno posto su un palcoscenico.
Quando gli oggetti accatastati in quel magazzino, mobili, sedie, pochi averi di esistenze dannate verranno accarezzate da una mano immaginaria, quella di Simone Cristicchi, l’artista dall’anima delicata che con la mano ferma di chi non ha paura riapre la porta di quel Magazzino 18 e lo trasforma in un’opera letteraria e poi in collaborazione con Jan Bernas per la regia di Antonio Calenda, uno spettacolo teatrale.
Contestato al suo debutto nel 2013 ma di un successo tale che a dieci anni dalla prima messa in scena al Politeama di Trieste torna sul palco. Per tornare su quella storia che sui libri di storia occupa poco meno di un paragrafo. Quando c’è. Nonostante sia una ferita ancora sanguinante. Ma che, per molti, non merita sutura.
La storia di 300mila persone, di 300mila italiani che nel 1947 decideranno di lasciare l’Istria italiana divenuta Jugoslavia dopo il trattato di Parigi. Lasciando la propria casa e la propria vita per trovarne una nuova. In Italia, il proprio paese. Per trovare ostilità, nel migliore dei casi.
Per diventare, loro malgrado, protagonisti di una delle pagine più nascoste e vergognose del nostro paese. Che da qualche parte prende il nome di Questione istriana. E che solo da poco ha riacquistato la dignità ci essere riconosciuta e raccontata.
Grazie, anche, a quegli oggetti dimenticati nel Magazzino 18 del porto di Trieste, lasciati nel passaggio e mai più rivendicati. Cose che ora diventano quelle Storia che non si può più tacere o nascondere.