Nella dispensa della sua casa di San Paolo, in Brasile, si potevano trovare tutti gli ingredienti per cucinare una pasta al pesto, una lasagna o per impastare una pizza. E, in un angolo, chiusa in un barattolo, una buona dose di nostalgia per il Belpaese.
Marianne Steinbrecher, aveva lasciato l’Italia in quel suo anno meraviglioso, il 2008, non prima di aver vinto uno scudetto, una Coppa Cev e una SuperCoppa con quella Scavolini Pesaro che in Italia l’aveva portata. Era partita con un ricco bottino, quindi, qualche settimana prima di laurearsi campionessa olimpica. In quell’estate dei suoi 25 anni.
Poi qualche stagione in un altro continente, fino a quando il vento italico è tornato a soffiare “Avevo voglia e bisogno, di cambiare. Di respirare – racconta Mari – un’altra aria, qualcosa di nuovo. Di prendermi una pausa dal costante movimento, spesso eccessivo, della mia città. E la chiamata di Bolzano si è trasformata in un biglietto per l’Italia: la soluzione giusta al momento giusto. Per ritrovare un posto in un campionato ricco e pieno di stimoli, di motivazioni e opportunità”.
Un ritorno che non veste gli abiti del passato ma, al contrario, si confronta con l’arte del cucito, insieme alla neopromossa Südtirol Neruda Volley di coach Fabio Bonafede. Per confezionare una storia tutta nuova, punto su punto, in una campionato di una bellezza impegnativa.
Ritornare, anche, accettando di sfidare sé stessa, in un ruolo, quello di capitana, che non ha praticato poi molto fino ad oggi. “È la seconda volta in carriera che mi viene affidata la fascia. Un incarico – continua l’opposta brasiliana – per nulla semplice per una come me, che non riesce a mettere in panchina la tranquillità e difficilmente si scompone, durante una partita. Per il bene della squadra, però, ci sto lavorando, cercando l’energia e il giusto atteggiamento da tenere in campo e nello spogliatoio. Insieme ad un tono della voce adatto alla situazione”.
Lavorare sul temperamento, sul motore dell’anima. Proprio Marianne, che di motori se ne intende. “Nel garage di casa, in Brasile, ho una piccola collezione di auto d’epoca, vetture acquistate con l’intento di ridar loro una seconda vita. La stessa che vorrei regalare a tanti cani sfortunati e senza casa, costruendo un rifugio che li accolga, per dare loro calore e dignità, insieme a una seconda possibilità”.
Un pensiero di solidarietà che sommato al rombo dei motori e ai colori giallo-oro della bandiera brasiliana non può che dare, quale risultato, il nome di Ayrton Senna, emblema di umanità sposata con l’agonismo e mito che non conosce tramonto, in una terra tanto fertile e prolifica per lo sport.
“Io, però, un vero e proprio idolo non l’ho mai avuto. Ho cercato di crescere, dal punto di vista sportivo, nella libertà di osservare e cogliere, portar via quanto trovavo di buono nelle compagne e nelle avversarie, senza farmi condizionare. Anche se, in questi anni, ho coltivato una profonda ammirazione per Fernanda Venturini, palleggiatrice della nazionale brasiliana di qualche anno fa. Ho sempre apprezzato il suo atteggiamento in campo, quella sua abilità di parlare con gli occhi, di far bastare uno sguardo per guidare la squadra”.
Una personalità forte, come quel motore da 400 cv nascosto nel cofano del Maggiolino del 1996 che Marianne tiene nella sua rimessa, in attesa di tornare a cantare. Prima, però, ci sono gli impegni della massima serie del campionato femminile italiano, con un Neruda Volley a caccia di una sua quadratura, di risultati e punti utili per non mancare la destinazione del suo viaggio, quella salvezza che a Bolzano fa rima con obiettivo stagionale.
Prima, quindi, c’è un altro acceleratore su cui spingere, quello della pallavolo e tanto lavoro. “Regolando il minimo – parafrasando Battisti – alzandolo un po’. Per ripartire, magari non volare ma viaggiare, sì”.
Emanuela Macrì
Foto Riccardo Giuliani