[di Emanuela Macrì – foto fonte web] Una cena che si trasforma in casting e una casa in teatro di posa. La padrona, della scena ancor prima che dell’monumentale e decadente immobile, è Isabel è un’attrice affascinante ma forse poco dotata di talento, di certo in cammino verso il tramonto professionale. Il palcoscenico, però, è un pezzo di vita che non abbandonerebbe per nulla al mondo e pur di ottenere una parte sarebbe di qualsiasi cosa. Sebbene finga, da buona attrice, di nulla. Prende vita così l’azione e una serata che nelle intenzioni ha il solo obiettivo di convincere Diego Peretti, star del cinema argentino, ad entrare quale protagonista e coproduttore di un cast che vede il marito di Isabel, Angel sceneggiatore e scrittore di noir, al fianco della sua ex moglie Susana, produttrice del film ancora sulla carta.
Quattro chiacchiere amichevoli in una serata capace di complicarsi da subito, con un aereo atterrato in anticipo e un idraulico atteso per sistemare uno scarico maleodorante del bagno, che non arriva mai. E poi?
A movimentare cena de La notte che mia madre ammazzò mio padre si aggiungeranno l’ex marito di Isabel e la sua nuova fiamma, ospiti non previsti e che, come tali, andranno a rompere i già precari equilibri della tavolata. Con tutto quello che potrebbe succedere, e succederà, in un thriller spruzzato di grottesco.
Per questo, nonostante la zoppicante grammatica del titolo, terribile ed errata traduzione letterale dalla lingua spagnola, la scrittura di Ines Paris è esemplare: fedele al più scolastico dei paradigmi, confeziona un perfetto esempio di metacinema cucito sui canoni della commedia noir. E il fascino, peraltro, non svanisce nemmeno quando lo spettatore capisce l’intrigo. Perché, contrariamente a quanto potremmo aspettarci, è proprio in quel punto che la trama si arricchisce di particolari e interesse e il racconto decolla davvero.
Tra l’isteria crescente di Angel, che non urta ma intenerisce e diverte e la bravura di tutto il cast impegnato a “mantenere la continuità narrativa del morto”, mentre ci scappa il morto, in ogni senso. Tra le luci di una giornata che comincia nei larghi spazi di un parcheggio e finisce nella notte, tra i vani di una villa di periferia.
Da vedere per ritrovare quel retrogusto almodovariano che un po’ tutti ci aspettiamo ogniqualvolta sentiamo parlare di cinema spagnolo. E poi per riderci su, mentre andiamo a indagare i meccanismi della scrittura cinematografica, pensata anche per il teatro, come dichiarato dalla scelta della scena di apertura.