[di Emanuela Macrì – foto Fabio Cucchetti] “Ogni attrazione è reciproca”. Prendiamo a prestito questa breve citazione, perfetta e per nulla casuale, de Le affinità elettive di J. W. Goethe per raccontare una storia. Poi ci spostiamo di qualche secolo e scivoliamo, più precisamente, nel 1996 dei fratelli Taviani per ritrovare quella stessa frase e quello stesso titolo in un film dalla trama rimpastata ma fedele, nell’ossatura, del racconto. In quest’ultimo, come nel nostro, la protagonista si chiama Carlotta, ma nella storia che si srotola davanti a noi non ci sono castelli e nemmeno matrimoni da salvare. Vi troviamo, invece, una grande stagione di volley da raccontare e una giovane palleggiatrice che di cognome fa Cambi e che, a dispetto dei suoi soli (quasi) ventuno anni, di cose da narrare ne ha già più di qualche.
Ma partiamo dalla fine, dallo storico primo scudetto conquistato qualche settimana fa con la maglia della Igor Gorgonzola Novara, da quella soddisfazione “per una stagione – commenta Carlotta – davvero piena di sorprese. La prima e, personalmente, la più importante è stata quella di giocare molto più di quanto potessi sperare. Ho iniziato la stagione con la consapevolezza di essere la seconda di Laura Dijkema e che trovare uno spazio per emergere non sarebbe stata impresa facile. Questo non significa che non ci sperassi, ho lavorato molto e quando è arrivata la chiamata ho cercato di dare tutto quello potevo”.
Missione compiuta. “Sì. Ma anche grazie al supporto di Laura. In un momento difficile per lei, si è rivelata una persona di rara intelligenza, dandomi consigli preziosi senza mai ostacolare il mio cammino. La sua generosità mi ha dato la tranquillità di cui avevo bisogno, facendomi capire che alle critiche mosse in un momento no si deve rispondere con l’impegno e il lavoro, con i risultati”.
Stop, fermo immagine. L’inquadratura è fissa sulle undici vittorie consecutive, dopo un periodo di digiuno. “Perché sono l’emblema – continua la numero 3 della Igor Novara – di tutta la nostra stagione e della nostra forza, quella di saper fare squadra e reagire per presentarsi al palazzetto la domenica con il preciso intento di dare forma a tutto il lavoro svolto in settimana. Fino a quell’ultimo pallone caduto, quell’urlo e la coppa alzata”. Fino a quel finale fissato quale obiettivo fin dall’inizio dei lavori, il 3 agosto scorso, data del primo allenamento.
Un anno non sempre facile, a dirla tutta ma, per dirla con Goethe, “L’eccezionale non lo si incontra sulle vie facili e piane”. E se a guidarti ci sono l’esperienza e la pazienza di compagne e colleghe più grandi, allora anche l’eccezionale, l’impensabile, può riuscire. “La presenza al mio fianco, sia in campo che in palestra, di due atlete di grande esperienza come Stefania Sansonna e Katarina Barun è stata fondamentale, perché sanno dosare le forze e indicarti quando è il momento di premere sull’acceleratore e quando, invece, è meglio alzare il piede dal pedale. I loro insegnamenti sono stati impagabili”.
Esperienze che si sommano a quelle già vissute, mentre fanno posto a quelle che verranno. “Di sogni nel cassetto ce ne sono tanti ma solo uno ha la S maiuscola e si chiama Olimpiade”. Un appuntamento ancora lontano, che si intravvede appena all’orizzonte, al quale però si deve lavorare sin dall’immediato. Partendo dalle chiamate ai collegiali con la Nazionale, come quella dello scorso anno, tanto inaspettata da non essere nemmeno stata considerata e giunta durante una vacanza, o come quella di quest’anno, con la partenza attesa per la fine del mese di giugno. “Il mio nome nella lista di Davide Mazzanti è la traduzione pratica del motto secondo cui il lavoro paga, sempre”.
Un futuro ancora tutto da pensare, forse impegnata in quelli studi in Scienze della Formazione che per il momento ha deciso di accantonare “anche se vorrei ritornarci, perché non escludo, da grande, di dedicarmi all’insegnamento. I bambini mi piacciono molto: quando gli impegni lo permettono cerco di trascorrere del tempo con i miei cugini più piccoli. Il nostro è un rapporto speciale”.
Un futuro, poi, che si spera abbia ancora le sfumature dell’azzurro, come quel passato che qualcosa di importante da dire già ce l’ha. “Tra le esperienze vissute scelgo il bronzo al Mondiale under20 del 2015, un ricordo bellissimo, tanto per l’importanza di occupare un gradino sul podio quanto per le amicizie nate durante il torneo. Una squadra targata 1996 e 1997, fortissima, e un gruppo coeso e vincente”.
Pura chimica o, forse, solo una serie fortunata di coincidenze, come quelle che legano Carlotta al 1996, suo anno di nascita e quello d’uscita del film dei fratelli Taviani da San Miniato, paese natale anche della Cambi. Due registi per una palleggiatrice, una regista che, però, con il cinema sembra non prenderci molto, preferendovi la lettura di romanzi storici.
“Probabilmente perché in questo ruolo non ci sono nata – chiude Carlotta – ma diventata grazie a un consiglio che ho deciso di ascoltare, quello del mio allenatore quando a Roma giocavo nelle giovanili del Volleyrò, che senza mezzi termini mi aveva prospettato una carriera da attaccante mediocre alla quale potevo rimediare con una da palleggiatrice di livello più alto. Chissà come mai quella volta, contrariamente a quell’indole cocciuta e, ancora oggi troppo spesso poco incline all’ascolto, ho deciso di seguire il suggerimento che poi si sarebbe rivelato sarà la svolta”.
Forse perché “Ci sono cose che il destino si propone ostinatamente. E alla fine è lui che vince”. Giusto per tornare al cinema, a Goethe e a quell’attrazione, fatale, di Carlotta Cambi per il volley. Che, a quanto pare, è pure reciproca.