[di Emanuela Macrì – foto Michele Baruffi, Fabio Cucchetti e Riccardo Giuliani] Sul comodino una copia di Resisto dunque sono di Pietro Trabucchi, la sua lettura da prima, personale, posizione del 2017. Nelle mani molti altri libri, tra quelli che ha scritto, letto e leggerà. Perché Marco Mencarelli è un lettore per passione e necessità in un mestiere che abbisogna di aggiornamenti continui e a largo raggio per lui che non è solo un allenatore ma, anche, docente e preparatore fisico. Una professione, anche se il plurale sarebbe più adatto, che aveva immaginato fin dai primi anni del liceo, quando praticava più di una disciplina sportiva e già aveva deciso di proseguire gli studi sulla strada delle Scienze Motorie. “Un pallavolista dalla carriera non troppo brillante, che ha dovuto fare i conti con i limiti fisici e tecnici – racconta di sé Mencarelli – sommato a uno studente motivato, che da bambino sognava i Giochi Olimpici. Un’addizione che porterà, come risultato, un futuro da tecnico.” E un’Olimpiade, quella di Atene 2004, non da atleta ma da vice allenatore e preparatore della Nazionale italiana femminile.
La pallavolo, ancora, come elemento capace, letteralmente, di far piazza pulita della concorrenza per mettersi al centro del suo universo. “Per un certo periodo mi ero avvicinato alla musica, dilettandomi a suonare la chitarra classica. Una via che ho dovuto ben presto abbandonare, però, a causa di un infortunio alle dita della mano rimediato giocando a volley. Uno sport che, evidentemente, sa imporsi senza mezzi termini.” Senza ripensamenti. “Non posso individuare un evento in particolare in cui ho capito che la pallavolo era stata la scelta giusta ma, semmai, il contrario: ho avuto, cioè, modo di confrontarmi con i risultati di scelte oculate e strategie, sommate a botte di fortuna importanti. Se mi guardo indietro, quindi, posso dire di aver colto l’attimo in qualsiasi situazione creatasi. Magari buttandomi con quel pizzico di avventatezza che per me rappresenta l’eccezione poiché sono riflessivo e non istintivo, imboccando la giusta via in determinate e determinanti scelte.”
E se di scelte vogliamo parlare allora eccone una che davvero contraddistingue la storia di Marco Mencarelli da quella della maggior parte dei suoi colleghi. Quella, cioè, di passare dalla panchina della Nazionale a quella di una squadra di club, in un percorso inverso rispetto alla norma. “Una decisione presa perché era l’esperienza che mi mancava e sognavo di fare. Trovavo anomalo per un allenatore come me, cresciuto nelle realtà giovanili, il fatto di essere arrivato alla guida di una Nazionale seniores senza alcuna esperienza in un club. Ammetto di aver avuto qualche timore nel momento in cui mi sono trovato faccia a faccia con l’offerta della società, perché volevo ci fossero delle sicurezze nei miei confronti, che si capisse come le mie idee andassero verso una certa direzione, e se non proprio controcorrente, fossero comunque orientate a tracciare un solco.”
Un’opportunità, poi, dal tempismo perfetto “in un momento particolare – continua l’allenatore oggi sulla panchina di Busto Arsizio – in cui non mi riconoscevo nelle strategie di gestione della Federazione rispetto a quel progetto. Non eravamo più allineati e, quindi, la situazione era matura e favorevole per un cambio.” Sarà, così, il momento di passare dalla panchina del Club Italia, per una stagione, e così a quella della Nazionale U18, per un’avventura che tuttora continua.
Arriviamo, così, a quel presente che si chiama Unet E-Work Busto Arsizio Busto, al terzo anno di un progetto che, oggi, comincia a mostrare i propri frutti. Un disegno che ha avuto la necessità di svilupparsi nel tempo, per diventare la squadra rivelazione del girone d’andata del campionato. Segno che nel volley, come nella vita la pazienza gioca un ruolo di primo piano. “Inevitabilmente. Il fattore tempo per noi allenatori è imprescindibile, anche se questa necessità confligge con molte delle logiche dominanti. Il risultato è quel fenomeno, peraltro non tipicamente italiano ma che nel nostro paese assume proporzioni non accettabili, che prende il nome di esonero e dipende dalla logica del risultato a ogni costo.
Guidare una squadra significa essere alle prese con uno sviluppo di prestazioni e ci sono componenti che possono dare il risultato a brevissimo termine, ma che nello stesso momento non sono garanzia di continuità di quello stesso risultato. Nel medesimo tempo, ma di segno inverso, vi sono componenti a cui si correla una maggior linearità, ma richiedono tempo. Sono convinto che andrebbe fatta una politica a priori, un’operazione di mercato più oculato, più attento. Perché dietro ad un esonero può nascondersi la scarsa considerazione, a livello dirigenziale, del rapporto corrente tra lo stile professionale dell’allenatore e la squadra che è stata formata. Qui a Busto Arsizio, con la UYBA abbiamo intrapreso un percorso che va in questa direzione: ho adattato il mio stile alle esigenze della serie A1 senza stravolgerlo ma trovando il giusto senso.”
Un compromesso capace anche di accompagnare le situazioni, per arrivare alla fine della stagione “con la certezza di aver saputo cogliere le opportunità. La conquista dell’accesso alla fase finale della Coppa Italia – sottolinea Marco Mencarelli – che si terrà a Bologna ne è un esempio chiaro non solo nella sostanza dell’aver raggiunto un obiettivo ma, soprattutto, nel modo in cui ci siamo arrivati, con una gara di ritorno su cui pesava una sconfitta subita a Modena e un risultato sfavorevole a cui dover porre rimedio, a cui dover dare una risposta di carattere. Lo spirito visto in campo in quell’occasione è quello giusto, consono al tipo di lavoro che stiamo facendo e molto vicino alla mia idea di pallavolo. È dunque questo che mi auguro di poter dire tra qualche mese, di aver visto una squadra pronta a vivere le opportunità in maniera sfacciata e decisa, senza freni inibitori. Perché considero questa la porta per le possibilità e soddisfazioni importanti.”
Soddisfazioni che nella vita non sono mancate al Menca, come lo chiamano le ragazze che hanno lavorato con lui e e le stesse che lo descrivono come un grande insegnante, un punto di riferimento per la propria crescita sportiva. E se alla pallavolo ha dato molto, molto può dire di aver ricevuto. “In tutti questi anni di lavoro ho cercato di fare in modo che l’onestà e la schiettezza nei rapporti non venissero mai meno, anche quando questo ha significato prendere decisioni difficili e doverle comunicare direttamente alle persone interessate. Ho diretto nove diversi staff dal 2006 ad oggi ed è in questi gruppi che individuo i rapporti tra i più sinceri e profondi che ho. Questo significa che siamo andati molto oltre l’obiettivo, entrando nel rapporto personale. Questo significa che la pallavolo, più dei titoli e delle medaglie, mi ha fatto un grande dono, quelle amicizie che continueranno comunque, oltre la pallavolo stessa.”
Amicizie che resistono, come recita il titolo del libro che Marco Mencarelli ha appena terminato di leggere ma non ha voglia di archiviare. Perché racconta storie di sport e situazioni di disagio mentre spiega come la vita si fondi sulla capacità, tutta umana, di affrontare e superare le difficoltà. E chissà cosa ne penserebbe Seneca, filosofo che già nel I° sec d.C. scriveva: “Non è perché le cose sono difficili che non osiamo, ma è perché non osiamo che sono difficili.”