[di Noemi Mendola – foto fonte web] L’adolescenza è uno dei periodi più particolari della vita: con i suoi stravolgimenti ha inevitabilmente segnato ognuno di noi. Il mondo è diverso da come appariva prima e, all’improvviso, stanca, annoia, o disgusta. Ma a cambiare è solo il punto di vista dell’adolescente, che da un giorno all’altro trova insopportabile continuare tutto quel che ha sempre fatto. “Non mi piace la mia vita” dice un ragazzo. E gli viene risposto: “Fai qualcosa allora”. Comincia così la discussa The End of The F***ing World, serie TV britannica creata da Jonathan Entwistle e distribuita in Italia da Netflix. Capace di infiammare il dibattito specialmente tra i giovani, sui social, è riuscita a conciliare i gusti del pubblico e le esigenze della critica, tant’è che qualcuno, online, parla già di cult.
I due adolescenti in questione si chiamano James e Alyssa: il primo, insensibile a qualsiasi emozione, si diverte nel tempo libero a uccidere animali e vorrebbe passare agli esseri umani; la seconda, disgustata dall’esistenza vuota che conduce, ha sete di avventura e vuole vivere fuori da quegli schemi che da sempre l’hanno incatenata. Un giorno, sopportare non basta più: devono fare qualcosa. Inizia, così, la loro fuga spericolata, composta da un crescendo di crimini che faranno di loro una sorta di moderni Bonnie and Clyde, noncuranti di qualsiasi limite o buonsenso, alla ricerca di un motivo per cui valga la pena vivere.
Alle spalle hanno una casa popolata da adulti egoisti e assenti, davanti il futuro per la prima volta, davvero, nelle loro mani. La crime story è, di per sé, drammatica e violenta, ma alla narrazione lineare e cruda degli eventi sono contrapposti i punti di vista, spesso sbalorditivi, dei due adolescenti. Il loro sguardo ingenuo e indifferente, incapace di gestire la gravità delle loro azioni, unito a commenti inaspettati, diverte e al contempo fa riflettere, come accade nelle dark comedy. Inoltre, le straordinarie doti attoriali dei due protagonisti, Alex Lawther e Jessica Barden, calati pericolosamente nel ruolo, sono in grado di far trasparire sia l’accidia che la complessità interiore dei due ragazzi.
La serie, però, non vuole essere edificante: non pronuncia una morale né intende giudicare un’età così delicata come quella adolescenziale. Cerca, piuttosto, di comprenderla, per non fermarsi alla superficie spesso inspiegabile, impossibile da inquadrare. Il finale, infatti, è aperto e lasciato alla mercé dello spettatore, libero di trarre le proprie conclusioni basate, soprattutto, sull’esperienza personale. È, forse, dovuto a questo il successo della serie. Anche se, in tal caso, non ci si spiega il motivo per cui alla sua prima messa in onda, avvenuta l’ottobre scorso su Channel 4 (rete televisiva britannica), la serie TV sia passata sotto silenzio.
Infatti, il trionfo The End of The F***ing World l’ha conosciuto su Netflix, e non è certo un mistero il potere dello streaming, che ha soppiantato il vecchio sistema di broadcast, quello televisivo. Un successo, d’altro canto, totalmente meritato. Quando il mondo conosciuto sembrava finito, una nuova vita è iniziata, e nel giro di 8 brevi episodi se ne sono dipinte tutte le sue sfaccettature, in contraddizione tra di loro ma anche, alla fine, molto coese. Non si è esclusa la possibilità di una seconda stagione, ma non si andrebbe, in tal modo, a rovinare la perfetta imperfezione che si è riusciti a creare?
