
[di Emanuela Macrì – foto fonte web] C’è molto traffico tra i fotogrammi di Diamanti. Ferzan Ozpetek, infatti, si cimenta nella difficile opera di dirigere un cast sovradimensionato in un film stratificato. Per temi e genere. Per scrittura e scenografie. In una pellicola divisa tra metacinema e narrazione filmica, che i dizionari descriveranno drammatica. Seppure sia molto di più.
Un film sul film che si sta facendo. Con la narrazione che apre sul cast riunito a tavola (luogo simbolo, al cinema, dove il pasto è alimentazione e condivisione ma, anche e soprattutto, atto di portare dentro di sé) e il regista a dirigere un incontro organizzativo che poi lascia la parola alla narratio. E ci porta tra le mura di una elegante sartoria specializzata in costumi di scena. E dentro le vite delle sue sarte.
Di tutte, donne-mamme-mogli-vedove-nubili-lavoratrici, nessuna esclusa. Nemmeno le proprietarie Alberta (Luisa Ranieri) e Gabriella Canova (Jasmine Trinca) che come tutte le protagoniste – sapientemente tutte sullo stesso piano. Perché un film corale non prevede ruoli di primo piano ma un primo piano per tutti e tutte – si trovano a tagliare e cucire (o ricucire) pezzi di vita, sofferenze, ruvidità. Ognuna con il proprio carico di dolori e bellezze.
Un film al femminile, ha detto e scritto qualcuno. . Un film che maltratta il maschile, che riduce a oggetto sessualizzato i protagonisti uomini, violenti e, quando dice bene, nevrotici. No, perché c’è di più. C’è un padre che accetta la depressione del figlio e passa dall’ignorarla a farsi parte della lotta. C’è un regista che comprende l’ingiustificata isteria, si scusa e si ravvede. Ci son due ragazzi che davanti a un pubblico di donne sconosciute accetta di cantare e ballare (e provateci voi, se avete voce e coraggio, senza base musicale).
Un film che si veste di tessuti eleganti che non coprono, però, vite da rattoppare, dolori da affrontare per poter continuare a vivere. E che sorprende fin dai primi minuti quando un’attrice convocata, Elena Sofia Ricci, rifiuta la parte perché chiamata ad assistere un’amica alla fine dei suoi giorni.
Espediente sapientemente utilizzato da Ozpetek per (fine della frase e dell’articolo. Svelare il particolare sarebbe come sottrarre un ingrediente, un sapore. Un torto vista l’apertura del film, con tutte quelle teglie e quella tavola così riccamente imbandita. Uno sgambetto che il regista turco-italiano non merita.)