
[Articolo di Sofia Paganelli – Foto web]
Aristotele considera l’uomo un animale sociale. Fin dalla nascita la sua sopravvivenza dipende totalmente da altri, a differenza di tutte le altre specie presenti sulla Terra. L’essere umano viene quindi educato a un sistema che prevede continue interazioni e scambi con i propri simili. A tal proposito, il filosofo sostiene l’importanza dell’amicizia virtuosa, valore spiegato all’interno del saggio “etica Nicomachea” in cui egli dimostra di credere fermamente. Per Aristotele la “Philia”, e quindi il sentimento di amicizia e di amore che lega gli uomini tra loro, riveste un peso maggiore rispetto alla giustizia dal momento che “quando si è amici, non c’è alcun bisogno di giustizia, mentre, quando si è giusti, c’è ancora bisogno di amicizia”.
Nonostante lo scorrere dei secoli, il vero “wesen” dell’uomo, che tradotto significa «ciò per cui una certa cosa è quello che è, e non un’altra cosa», non è mutato e la spinta verso l’altro è tutt’ora parte integrante della sua vita. Oggi il senso comune esprime un bisogno sempre più forte di circondarsi di persone; non conta quanto queste relazioni siano profonde, basta non essere soli. Perché in un mondo in cui ciò che conta è apparire e non soltanto essere, la ricerca di una continua approvazione diventa il nuovo fulcro. Ecco quindi che la società si costruisce su infinite connessioni superflue, molto più semplici da gestire rispetto all’idea di legame definita da Aristotele. È quanto afferma il sociologo e filosofo Bauman che nel saggio “Amore liquido” prende in esame le relazioni contemporanee ormai sovrastate da quel mondo virtuale dentro il quale l’uomo sta pian piano scomparendo. Prendersi cura di un rapporto, coltivarlo e crescerlo, nonostante sia una grande opportunità, talvolta richiede impegno e fatica, valori a cui si è meno abituati rispetto al passato.
Con l’avvento dei social network conoscere nuove persone è diventato estremamente facile, grazie alle molteplici vetrine di vite che vengono esposte in cerca di un numero via via più elevato di “followers”. Basta cliccare sul tasto “segui”, aspettare che l’altro ricambi, avviare una conversazione e il gioco è fatto.
E pensandoci, la tecnologia ha enormemente favorito l’incontro tra simili. Il punto è: quanto sono vere le relazioni nate dai social? I giovani hanno un’idea chiara di cosa significhi per loro amicizia: esserci, entrare in empatia, avere passioni in comune, condividere fatiche e vittorie. È un valore che si conosce fin da piccoli, idealmente tutti possiedono il concetto di amicizia virtuosa che Aristotele sosteneva. Eppure, nel concreto, molte volte un legame di amicizia puro si macchia di quella superficialità tipica della società odierna. La paura di perdere l’altro e di mostrarsi fragili è più forte del desiderio stesso di incontrarlo. Così come il tempo necessario a far germogliare un’amicizia profonda diventa talvolta agente frenante in un mondo che corre sempre di più. Si preferiscono piuttosto, riprendendo Bauman, le connessioni: leggere, senza impegno e facili da sopprimere quando le situazioni si complicano. In questo modo si è circondati da tantissime persone, nella maggior parte dei casi “virtuali”, senza però vincoli di fedeltà. I social network, allora, risultano essere lo strumento ottimale per questo tipo di rapporti fugaci: basta cliccare il tasto “non seguire più” e la connessione si interrompe.
Cosa rimane però di quel rapporto che non si ha vissuto?
È una questione di scelte: da un lato il cammino verso la riscoperta della propria umanità, dall’altro il desiderio di tutelarsi e circondarsi di persone senza vivere la fatica di costruire legami solidi. Le carte sono scoperte, a noi la decisione.