[Di Alessia Giordano – Foto web] Ogni anno, il 25 novembre, ricorre la giornata internazionale contro la violenza sulle donne: un momento che dovrebbe evocare riflessione, ma che rischia di rimanere un gesto esclusivamente simbolico e frivolo. Parlarne solo un giorno all’anno è come regalare i fiori alla propria donna solo l’8 marzo o portare dei cioccolatini alla fidanzata solo nell’occasione di San Valentino: bello ma insufficiente.
Il fatto è che queste “giornate dedicate”, in alcuni casi, sembrano una misera messa in scena: l’attenzione del pubblico si accende per poche ore e poi ognuno torna alla propria vita. Ma la normalità, per molte donne, significa ancora convivere con la paura, con il silenzio, con il trauma. E finché queste tematiche verranno prese così alla leggera, continueranno ad essere soltanto cerimonie ridondanti, senza che vi sia una reale presa di coscienza.
Spesso, quando si parla di violenza, si pensa che sia perpetrata solo da un uomo su una donna ma la realtà è molto più complessa. La violenza non ha un volto solo: non è sempre fisica, non è sempre sessuale. Può venire dal partner, da un ex, da un familiare o da una persona che la vittima conosce in altri contesti.
La violenza psicologica, tutt’oggi ancora super sottovalutata, spesso si manifesta in forme insidiose: controllo costante, isolamento, svalorizzazione, intimidazione. Alcune vittime parlano di restrizioni nelle decisioni sull’organizzazione familiare, altre ammettono che hanno paura di esprimere la loro opinione o di dissentire, anche davanti a chi dovrebbe amarle. Nonostante sia un tipo di abuso meno visibile, è altrettanto devastante, perché mina l’autostima e la libertà in modo silenzioso.
Per molte donne, denunciare rimane un passo difficilissimo. Le paure sono molte: vergogna, sfiducia nel sistema giudiziario, timore delle conseguenze. Tante persone rimangono intrappolate proprio lì: in quella zona grigia che non si è neanche sicuri di poter definire con la parola “violenza”. I dati lo confermano: secondo l’Istat, solo una piccola percentuale delle vittime denuncia.
Ė importante che il 25 novembre esista, ma è un peccato che rimanga, dopo 26 anni a questa parte, un appuntamento di facciata, un momento in cui si “fa attenzione” solo perché è previsto dal calendario. Servirebbe una consapevolezza quotidiana, una pratica costante. Questa ricorrenza dovrebbe trovare il suo senso più autentico nel ricordare a tutti quanto sia urgente guardare, ascoltare, educare e intervenire non solo questo giorno.
Un appello va non solo a chi subisce, ma anche a tutte quelle persone che esercitano violenza. A chi sceglie il controllo invece del rispetto, l’umiliazione invece del dialogo, il possesso invece dell’amore. Perché “la violenza non è forza ma debolezza, né mai può essere creatrice di cosa alcuna, ma soltanto distruggerla” (Benedetto Croce)
