
[articolo e foto di Emanuela Macrì] È un’ovazione, una vera ovazione, quella che accoglie Sheva. E se, sì, il suo nome è Andrij Ševčenko per tutti era e rimane Sheva. A confermarlo il coro che accompagna il suo arrivo sul palco e trasforma il S.Chiara in S.Siro, l’Auditorium di Trento nella curva sud di Milano “Non è un brasiliano però, che gol che fa, il Fenomeno lascialo là, qui c’è Sheva!”. E lui si commuove mentre stringe la maglia della nazionale ucraina, quella con il numero 7 che porta il suo nome e gli viene consegnata da Alessandra Bocci e Alessandro Alciato, con lui a dialogare.
Con sincerità e misura, doti che lo hanno fatto amare da tutti, in campo e in panchina. Dal popolo rossonero che non ha mai dimenticato il suo campione e dagli avversari che lo hanno sempre rispettato. Ma perché tanta stima, unanime? “Forse perché ho sempre tenuto fede agli insegnamenti dei miei genitori, i valori con cui mi hanno cresciuto. Il rispetto per gli altri e l’umiltà, prima di tutto.”
Insieme all’amore. Per il calcio per la maglia rossonera, in particolare “perché il Milan è una famiglia”, quella del Pallone d’Oro vinto nel 2004. La stessa indossata calciando il rigore che per Sheva è il suo “gol della vita: il tiro dal dischetto (il quinto di cinque, NdR) a Manchester. Finale di Champions League 2003. 28 maggio. Contro la Juve” Davanti a lui la porta e Gianluigi Buffon. E una pagina di storia rossonera da scrivere. Tutto in un rigore. Tutto in un gol da realizzare o no per una coppa da vincere o no. Dopo quei secondi che son sembrati ore, quei metri lunghi chilometri per arrivare al dischetto, pensando solo a come calciarlo. Prima di una coppa alzata al cielo pochi minuti dopo da capitan Paolo Maldini.
Ma c’è una vita anche dopo il campo. “L’addio al calcio è arrivato da solo. Quando ho sentito di aver dato tutto come calciatore. È una cosa molto soggettiva, un momento molto personale. Per me arrivato come un fatto naturale.” Anche se il calcio non perderà il suo campione e alla domanda se tornerà a fare l’allenatore risponde con un “ho bisogno della sport nella mia vita, non so vivere senza.”
Prima, però, c’è un incarico da consigliere commissionatogli dal Presidente ucraino Zelensky. E qui con voce rotta, fa emozionare un auditorium intero quando bisbiglia “Scusate, non riesco a parlare della guerra.” Poi riprende fiato, con fatica racconta il suo paese oggi. E noi cediamo il passo. La cronaca di quei minuti finisce qui.
Perché vogliamo finire questo articolo con il nuovo amore di Andrij Ševčenko, il golf e quel tiro perfetto che da un green improvvisato sul palco del Festival dello Sport di Trento fa planare la pallina direttamente nelle mani di Alciato, improvvisatosi buca per l’occasione. Mentre negli occhi di tutti e tutte le presenti quella pallina prende la forma di un pallone e ricorda “Non è un brasiliano però, che gol che fa!”. E quanta nostalgia di questo signore del calcio, campione d’umiltà ed eleganza tecnica.